Coscienza e Intenzionalità

L’osservazione consapevole e l’intenzionalità umana 

 

“…l’universo comincia ad assomigliare di più ad un grande pensiero, piuttosto che ad una grande macchina.” (James Jeans)

Il fenomeno del collasso della funzione d’onda mette alla luce che, se il processo di osservazione influenza quanto viene osservato, non esiste più una netta separazione tra il “mondo là fuori” e la coscienza soggettiva, poiché questi due elementi sembrano fondersi nel processo di scoperta – o creazione – della realtà.

Heisenberg sosteneva che la mente era inerente a tale questione. Egli si riferiva all’atto della misurazione come quello della registrazione del risultato nella mente dell’osservatore: “Il cambiamento discontinuo nella funzione della probabilità ha luogo con l’atto della registrazione, poiché è il cambiamento discontinuo della nostra conoscenza all’istante della registrazione che si rispecchia nel cambiamento discontinuo della funzione di probabilità.[1]” Se, dunque, l’osservazione è responsabile del collasso della funzione, l’uomo stesso è inerente al processo della realtà, o, per dirla in altri termini, il coinvolgimento o l’interazione crea quella realtà.

Il matematico John Von Neumann, nel suo trattato “The Mathematical Foundations of Quantum Mechanics” (1955), nel quale sviluppò una rigorosa base matematica per la Teoria Quantistica, a proposito dell’osservatore e dell’osservato, suddivise il problema in tre fasi:

  1. La decisione dell’osservatore di porre una domanda al mondo quantico, limitando in tal modo le modalità di libertà disponibili nel sistema quantistico in cui avviene la risposta;
  2. Lo stato in evoluzione dell’equazione d’onda: il processo tramite il quale la nube di possibilità si dispiega o evolve nel modo descritto dall’equazione di Schrödinger;
  3. La risposta dello stato quantico alla domanda posta nel primo processo, che provoca il collasso della funzione d’onda.

E’ degna di nota, nella teoria di Von Neumann, l’intenzionalità con cui l’osservatore si accinge a compiere l’atto della misurazione. Ogni osservazione implica la necessità di scegliere cosa osservare. In questa teoria della logica quantistica, non esiste alcuna distinzione tra quanto è incluso nel sistema fisico implicato nel secondo processo. Questo vuol dire che il cervello dell’osservatore potrebbe essere considerato parte inerente della funzione d’onda in evoluzione, e non sarebbero soltanto gli elettroni a essere osservati. Ciò sta a indicare un aspetto cardinale del problema della misurazione: essa è prodotta dalla decisione di chi osserva, la quale limita il grado di libertà a cui il sistema fisico può rispondere, influenzando quindi il risultato, cioè la realtà.

A questo punto, c’è da chiedersi qual è il ruolo della coscienza, atto dell’osservazione consapevole, nella creazione della realtà. Molte tradizioni spirituali e metafisiche antiche ritenevano che la coscienza fosse a fondamento dell’intero essere. Esse parlavano dell’esistenza di un partecipante, nel senso più intimo, che ciascuno di noi ha in sé stesso, quell’ineffabile Sé che è necessario analizzare per comprendere la natura interiore e, attraverso la coscienza, cambiare il sé esteriore o ego.

La pratica Zen, dell’essere sempre presenti ad ogni istante, esprime questo concetto, in cui lo stato dell’osservatore potrebbe essere descritto come quello di “permanere nell’osservare”. Soggetto e oggetto sono intimamente legati e l’osservazione assume i caratteri di un processo attivo. Esiste un effetto fisico dell’osservazione, che la coscienza sia o no l’unico fattore di influenza, il fatto che qualsiasi misurazione possa alterare il sistema fisico è una conclusione rilevante. Ciò dimostra come non sia possibile eliminare alcuna informazione senza cambiare lo stato fisico di un dato sistema. Secondo Goswami, risalendo dalla scala subatomica a quella umana, l’osservazione si basa sulla percezione, seguendo lo schema memoria (passato) → percezione → osservazione → (influenzano la) realtà:

“Ogni osservazione può essere considerata una misurazione quantistica, poiché quest’ultima produce memoria cerebrale.(…) Noi percepiamo sempre qualcosa dopo che si è riflesso nello specchio della memoria. E’ questo riflesso che ci dà quel senso di “essere un io”, vale a dire un modello di abitudini, di ricordi, di passato.[2]

La realtà potrebbe allora essere la risposta a domande o atteggiamenti custoditi nella mente, che giace alla base di una lunga catena di ricordi, percezioni ecc. La fisica quantistica (come del resto le tradizioni spirituali) asserisce che la realtà osservata è fluida e che tutti i suoi molteplici aspetti sono interrelati, fanno parte della stessa funzione d’onda e sono intrinsecamente inseparabili. Per dirla con le parole del fisico americano John Wheeler (1911-2008), non siamo solo spettatori su una scena cosmica, ma modellatori di forme e creatori che vivono in un universo partecipativo[3].

Dall’altra parte, secondo una visione materialistica, la coscienza è un epifenomeno del funzionamento cerebrale e non possiede alcuna realtà autonoma, poiché è il prodotto di reti neurali e interazioni elettrochimiche. La coscienza non rientra nel paradigma newtoniano, che distingue il regno del puro pensiero e quello della materia, ritenendo che tra questi due compartimenti non possa esistere alcuna influenza reciproca.

Nella concezione delle tradizioni orientali, la coscienza è la realtà primigenia tramite cui ogni cosa si esprime.

Viva, fluida e in costante movimento, essa si realizza in un continuum di strati, da quello più astratto della coscienza pura attraverso i livelli sottili e “sostanziali” (funzioni d’onda quantistiche, particelle, fotoni, atomi, molecole, cellule, ecc.) fino alla materia solida: ogni cosa è correlata all’altra poiché si tratta sempre della stessa sostanza che si manifesta su diverse frequenze, livelli vibratori o densità.

In questa visione, il problema della relazione tra coscienza e corpo si dissolve, perché essi sono già e sempre collegati – due aspetti della medesima entità.

Se consideriamo, quindi, che la realtà sia creata da un atto di coscienza, al livello più intimo è la coscienza a creare la manifestazione, concezione dalla quale scaturisce un rapporto stretto tra osservatore e oggetto osservato, uniti come una totalità indivisibile, la quale è la pura coscienza ma anche la propria coscienza interiore (il Sé, distinto dalla coscienza esteriore).

Oggi molti ricercatori stanno cercando prove convincenti della capacità cosciente di dar forma alla realtà. Per es., vari esperimenti furono condotti per indagare il potere dell’intenzione umana, utilizzando il “generatore di eventi casuali” (REG). L’analisi statistica dei dati ricavati dal dispositivo dimostrò che il pensiero umano, singolarmente o in collettività, può influenzare l’attività di un REG, indirizzando la tendenza caotica dei numeri verso un andamento non casuale.

Gli esperimenti, sviluppati da Jahn e Dunne (PEAR), dimostrarono che una persona con una particolare intenzione mentale può determinare il verificarsi di eventi sincronici, che si manifestavano con una deviazione del REG dalla distribuzione statistica casuale standard, prevista in assenza della detta persona.

E’ un esempio di come un osservatore (la coscienza individuale), che interagisce con l’osservato (il REG), ne può determinare il comportamento: ciò richiama il processo della misurazione quantistica, nel senso che essa condiziona in modo sincronico lo stato dell’oggetto osservato, in maniera tale che l’unica obiettività concepibile non è più l’osservato ma il connubio tra osservatore (dotato di coscienza) e osservato.

I due scienziati ritengono che, in date circostanze, la mente esegua delle “misurazioni” su certe parti del cervello, dove le forme delle eccitazioni neurali che ne derivano sono correlate, mediante il meccanismo dell’entanglement, ad alcuni eventi o oggetti in natura. Jahn e Dunne propongono che i fenomeni da loro studiati, volti a provare l’esistenza della psicocinesi, coinvolgano uno scambio di informazioni fra la coscienza e la realtà fisica. Tale scambio andrebbe considerato non tanto un flusso tra mentale e materiale, quanto come una risonanza tra i due. E riconoscono anche la sovrapposizione del modello olografico con le loro teorie. A tal proposito, Jahn affermò che esso “fornisce alla coscienza la capacità di funzionare in senso meccanico-ondulatorio e, quindi, di servirsi dell’intero spazio e tempo[4].”

Uno degli esperimenti svolti utilizzando il generatore che produceva una sequenza casuale di bit 0/1 (analogamente a monete lanciate in aria) era il seguente: l’individuo doveva premere un bottone che originava duecento bit, ma tentando di fare in modo che producesse più di uno zero. Nell’analizzare i risultati, la domanda fondamentale è stata: ha avuto peso il fatto che le persone cercassero di influenzare il risultato verso 1 o verso 0? La risposta complessiva è stata positiva: in qualche modo l’intenzione è stata relazionata con l’operazione o l’esito dei suddetti generatori (se si desiderava che uscisse più volte il numero uno, in qualche maniera il generatore produceva più numeri uno).

Un’altra ricerca, eseguita da Dean Radin[5], Roger Nelson e Dick Shwope, fu condotta negli anni Novanta per comprendere se un gruppo di menti coerenti, avrebbero potuto spingere i generatori di eventi casuali al di fuori della casualità, e capire cosa sarebbe successo se un gran numero di persone avesse focalizzato l’attenzione su un determinato evento. Costoro scelsero di registrare il processo ad O.J. Simpson (ex giocatore di football americano) nel 1995, attraverso i generatori in questione (ne allestirono tre negli Stati Uniti, uno ad Amsterdam e un altro a Princeton). Dai dati risultò che, in alcuni momenti, gli strumenti avevano registrato elevati picchi di coerenza, che si riferivano a rappresentazioni grafiche della casualità. Normalmente, i REG danno come risultato il 50% di 1 e il 50% di 0, senza picchi. Ma, per qualche ragione, quando milioni di persone si focalizzarono sul medesimo evento, quel tracciato piatto ha deviato bruscamente dalla media, nel preciso istante drammatico di attenzione.

Da allora, Radin e colleghi hanno lanciato il Global Consciousness Project, in cui REG in tutto il mondo funzionano costantemente, inviando ogni cinque minuti i risultati a un server a Princeton e registrando il livello di “coscienza collettiva” in coincidenza di eventi particolari (ad esempio, si sono evidenziati picchi rilevanti durante l’undici settembre). Emergono sempre nuovi dati a dimostrazione che l’andamento originariamente casuale dei numeri del generatore tende a disporsi su picchi ben definiti in momenti nei quali l’umanità attraversa fasi significative della sua storia: è una manifestazione della sincronicità in forma globale. Ciò sembra avallare la teoria junghiana dell’esistenza di una psiche collettiva che risponde in sincrono agli avvenimenti esterni. La sincronicità, basata sul principio del quantum entanglement, appare come un meccanismo capace di spiegare la correlazione tra le intenzioni e gli stati emozionali umani, con l’andamento dei REG.

Altre ricerche sono state eseguite per valutare l’influenza dell’intenzione umana sui sistemi fisici. In particolare, il ricercatore William Tiller[6], dell’Università di Stanford, volle provare non soltanto se l’intenzione fosse in grado di collassare una funzione d’onda, o comandare un evento quantico, ma di esercitare un’influenza su un attributo macroscopico della materia. Per questa ricerca, fu costruita una strumentazione elettronica allo scopo di registrare l’attività di alcuni individui in uno stato di meditazione profonda, mentre si concentravano per influenzare degli esperimenti in vitro: il primo era volto ad accrescere il rapporto delle molecole di energia ATP nel corpo di larve di moscerino per renderle più forti e diminuire il tempo di sviluppo larvale; il secondo per aumentare o diminuire il pH dell’acqua di un’unità; l’ultimo per incrementare l’attività di un enzima epatico (la fosfatasi alcalina).

Oltre alle scatole su cui era stata impressa l’intenzione, si allestirono alcuni apparecchi di controllo che non avevano ricevuto alcuna impressione. Entrambe le attrezzature furono disposte e attivate a 15 cm dal bersaglio prescelto. Alla fine, si notarono spiccati contrasti all’interno di ogni coppia e di tutto l’insieme. Ad es., il pH dell’acqua era cambiato – ci sono meno di una probabilità su mille che ciò accada naturalmente, soprattutto considerando che le unità di controllo rimasero invariate.

Sorprendenti, infine, sono gli esperimenti condotti dal ricercatore giapponese Masaru Emoto[7], che creò una tecnica per fotografare i cristalli d’acqua sottoposti a stimoli non fisici. In uno dei diversi esperimenti, in cui dei campioni d’acqua (rubinetto, sorgente, lago, palude ecc.) furono esposti a stimoli diversi, egli notò che la musica poteva influenzare dimensione e forma dei cristalli di H2O: la musica classica formò delle strutture cristalline armoniche, l’heavy metal frantumò il cristallo. Di seguito, egli impresse su delle bottiglie etichette con parole che esprimevano emozioni (odio, amore ecc.).

L’acqua sembrava rispondere a queste espressioni di coscienza, nonostante le parole non producessero un’azione fisica misurabile: messaggi positivi imprimevano bellissimi cristalli simmetrici; quelli negativi creavano figure deformi e disarmoniche. Le immagini ricavate dimostrarono come l’acqua sia una sorta di nastro magnetico, in grado di conservare le informazioni ricevute dall’ambiente. Fu eseguita anche l’analisi di un campione proveniente da una zona industriale, in cui le strutture cristalline assunsero una formazione casuale e distorta. Dopodiché, la stessa acqua fu sottoposta a una preghiera, e immediatamente la sua struttura prese l’armonica forma di un rosone.

La rilevanza di questi esperimenti si riflette sul fatto che l’acqua unisce, di fatto, tutte le forme di vita. Il nostro stesso corpo è costituito dal 70 al 90% d’acqua. Se l’essere vivente può influenzare ciò che è fisico, sembra naturale che ciò si riveli nell’acqua, elemento malleabile che, a quanto pare, conserva una sorta di memoria: non solo riflette esteriormente l’ambiente, ma lo fa anche tramite le proprie molecole. Se i pensieri (la coscienza) possono fare questo all’acqua, allora possiamo suppore che siano capaci di influire anche su noi stessi. La mente cosciente potrebbe quindi dominare sulla materia. Dall’altra parte, separare le due entità potrebbe dire ricadere nuovamente in una visione dualistica.

La Coscienza

“La mia idea è che la coscienza sia il problema più arduo e che la fisica essenzialmente sia decollata sui problemi più semplici. Possiamo anche scoprire tutte le forze e le particelle della natura, che sono ciò che la fisica sta cercando, e poi? Poi dovremo affrontare sul serio alcuni di questi problemi più difficili, come la natura della mente, cui non sappiamo ancora come formulare le domande.” (Nick Herbert, La realtà dei quanti)

La medicina cinese chiama l’area cranica il “cervello celeste” (tiannao), di natura ancestrale (Hun, strettamente correlato all’aspetto vitale della coscienza), e identifica, nella struttura emozionale/cognitiva, processi in costante comunicazione dinamica, sottolineando l’integrità psico-fisica dell’uomo.

In Occidente, Cartesio[8] (1596-1650) negò la possibilità che la mente potesse influenzare le caratteristiche fisiche del corpo, in quanto le riteneva due entità distinte. La medicina fece di tale postulato il suo paradigma, avallando l’idea di separazione tra corpo e psiche. La realtà dell’universo quantico riunifica ciò che Cartesio aveva separato, indicando che i pensieri, cioè l’energia della mente, possono influire sul modo in cui il cervello controlla i processi fisiologici corporei.

Fino al sec. XX, la fisica classica operò in un modello nel quale ogni cosa era ridotta a pura materia o a pura energia, e in cui la coscienza era considerata quasi un’anomalia del processo di funzionamento del cervello. Oggi, numerosi studiosi stanno cercando d’includere la coscienza in una nuova visione scientifica. Vari neuroscienziati tentarono di localizzare, in precise aree cerebrali, la coscienza ma, alla fine, si comprese che essa non era localizzabile in nessuna parte. La meccanica quantistica permise alla neuroscienza di penetrare nelle microscopiche sottostrutture del cervello. Fu scoperto che nel cervello umano esistono strutture che sembrano designate alla cattura di effetti quantici. L’implicazione di questa scoperta è che la mente è non-locale. Come aveva già teorizzato Bohm, pare che esista un piano invisibile che influenzi la realtà.

L’approccio convenzionale considera la coscienza un processo elettrico, innescato dai continui scambi energetici tra neuroni: sarebbero quest’ultimi a costituire le unità fondamentali di informazione cerebrale. In quest’ottica, la coscienza emergerebbe quando viene raggiunto un livello critico di complessità nel network neurale. Ma ciò non spiega come fa la materia vivente a produrre pensieri ed emozioni soggettive. Il fisico teorico Roger Penrose e il neurobiologo Stuart Hameroff proposero un modello teorico basato sull’entanglement quantistico, per chiarire in che maniera emerga il pensiero cosciente nel cervello.

Gli studiosi sostengono che l’origine della coscienza non sia nel cervello, ma in un “mondo assoluto”, come la schiuma quantistica sulla scala di Planck. Non ci sono arrivati facendo speculazioni astratte, ma analizzando rigorosamente le varie funzioni cerebrali, riuscendo a trovare una caratteristica strutturale – il microtubulo[9] – che trasforma il cervello in una sorta di trasduttore di segnali, in grado di connettersi in un’altra dimensione, in cui risiederebbe la coscienza.  Le conclusioni che si possono trarre da tale studio sono che la coscienza (il senso d’identità) e la memoria non sono situate nel cervello.

I microtubuli, che rappresentano il principale elemento del citoscheletro cellulare e dei neuroni cerebrali, in cui si auto-assemblano per regolare le connessioni sinaptiche (responsabili delle funzioni cognitive), sarebbero il luogo del cervello in cui si realizza uno stato d’interconnessione.  Essi si comporterebbero come dei processori d’informazione, ragion per cui sono stati individuati quali principali mediatori della coscienza. Hameroff notò che la struttura di questi organi, costituiti da “tubulina”, è simile a un circuito on/off di un computer, potendo ricoprire il ruolo di Qbit (bit quantistici). I microtubuli sono in grado di produrre stati di coerenza quantistica tra tutte le tubuline cerebrali. Sarebbe proprio il collasso di tali stati di coerenza a determinare gli atti elementari di coscienza.

Coerenza e entanglement  rendono le tubuline capaci di assumere le stesse caratteristiche degli elettroni o fotoni correlati; in tal caso il processo coinvolge miliardi di unità. I due ricercatori ritengono che la coscienza sia un processo al confine tra mondo classico e quantistico, che si articola in due fasi:

1)      Fase inconscia, corrispondente alla sovrapposizione quantistica di tutti gli stati delle tubuline nei microtubuli;

2)      Fase conscia, corrispondente al collasso della funzione d’onda, che raccoglie in sé, in un unico stato quantistico, il complesso entanglement  globale caratterizzante i microtubuli.

La fase conscia fu definita “riduzione obiettiva orchestrata”: il collasso della funzione d’onda riduce uno stato quantistico a uno stato classico, e il momento di coscienza risulta dall’azione concertata di un certo numero di microtubuli correlati nel cervello. Afferma Hameroff: “E’ come se la coscienza procedesse attraverso lo spazio-tempo a scatti e tale coscienza è una sequenza di istanti presenti: ora, ora, ora”[10]. Questa fase innesca automaticamente, in seguito al collasso, i normali processi elettrici tramite cui i neuroni comunicano tra loro. Secondo Penrose, le scelte che emergono dal collasso non sono casuali, inoltre la comprensione umana non può essere ridotta a regole puramente computazionali:

“Il pensiero conscio deve comprendere ingredienti che non possono essere simulati adeguatamente dalla mera computazione convenzionale; e, ancor meno, la computazione stessa sarebbe in grado di evocare sentimenti consci o intenzioni. Di conseguenza, la mente deve essere davvero qualcosa che non può essere descritta con alcun tipo di termine computazionale classico…[11]

Hameroff ritiene che il “mondo reale” è rappresentato dal vuoto quantistico, analogamente a quanto Bohm aveva esposto riguardo l’ordine esplicato della realtà, dal quale deriverebbero le forme del nostro universo visibile. Se Penrose e Hameroff hanno ragione, vuol dire che il cervello accede al vuoto quantistico come un’antenna ricevente, e seleziona alcune “forme” dalla geometria dello spazio-tempo, proprio come un pittore sceglie i colori per dipingere un quadro. La meccanica quantistica dimostra che la coscienza si comporta come un vero ente quantistico. Il cervello, in particolare, mostra l’armonioso connubio esistente tra “spirito” e “materia“: i microtubuli materiali rendono possibile la creazione di momenti immateriali di coscienza, provando l’interconnessione tra queste due entità. A tal proposito, afferma l’astrofisico Massimo Teodorani: “Materia e coscienza sono una cosa sola e non possono esistere l’una senza l’altra.”[12]

Karl Pribram, con la sua teoria olografica della mente, asserisce che il cervello decodifica tutte le frequenze che provengono dall’universo, mentre la vera mente non sarebbe collocata nel cervello (il quale sarebbe solo un tramite per scambiare informazione proveniente da altrove, in maniera non-locale), ma in una specie di matrice, risiedente al di là del tempo e dello spazio. Pribram propose anche che le immagini percettive sono raffigurate da un “ologramma neurale”, secondo un meccanismo non-locale di risonanza che avrebbe luogo nei dendriti.

Secondo Michael Talbot, “Considerate assieme, le teorie di Bohm e Pribram forniscono un modo profondamente nuovo di guardare il mondo: i nostri cervelli costruiscono matematicamente la realtà oggettiva interpretando le frequenze le quali non sono altro che proiezioni da un’altra dimensione, un ordine più profondo dell’esistenza che risiede oltre il tempo e lo spazio. Il cervello è un ologramma avviluppato in un universo olografico[13].”

Proprio come la filosofia del Tao predice, pare che la concretezza che percepiamo del mondo sia una realtà secondaria, mentre la realtà primaria, da cui proviene l’informazione, è una rappresentazione di frequenze e onde elettromagnetiche. Alla fine, la realtà oggettiva, si rivela, in pratica, una realtà virtuale.

 


[1] Citato in Arntz, W., Chasse, B., Vicente, M., Ma che bip sappiamo veramente, Macro Edizioni, Cesena 2006, p. 66

[2] Amit Goswami, citato in Arntz, W., Chasse, B., Vicente, M., Ma che bip sappiamo veramente, Macro Ed., Cesena 2006, p.72

[3] Citato in Baggot, Beyond Measure, Oxford University Press, 2004, p. 109, in Silvia Arroyo Camejo, Il bizzarro mondo dei quanti, Springer Edizioni, Milano, 2008, p. 143-144

[4] Citato in Talbot, M., Tutto è uno. L’ipotesi della scienza olografica, Urra Edizioni, Milano, 1997, p. 136.

[5] Radin D., Entangled minds, Paraview Pocket Books, New York, 2006

[6] Citato in McTaggart L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, pp. 60 e 185-199

[7] Emoto, M., La risposta dell’acqua, Ed. Mediterranee 2006, citato in Mctaggart, L. La scienza dell’intenzione, 2008

[8] Il filosofo Cartesio fondò la propria concezione della natura sulla separazione tra due realtà: mente e  materia. La nascita della scienza moderna fu accompagnata dallo sviluppo di questo pensiero che portò alle estreme conseguenze il dualismo spirito-materia. La frase Cogito ergo Sum portò l’uomo occidentale a identificarsi in modo esclusivo con la propria mente. Di conseguenza, l’uomo moderno diviene consapevole di sé stesso come un Io isolato che vive “all’interno” del suo corpo; la mente è considerata separata da quest’ultimo. Sulla scia del pensiero cartesiano, la concezione meccanicista del mondo, basata sugli studi di Newton, fu la base sulla quale fu costruita la visione classica del mondo.

[9] I microtubuli sono piccoli tubi allungati, di pochi nanometri di diametro, che garantiscono la connessione collettiva dei neuroni e sono i responsabili del trasporto dei neurotrasmettitori. Al suo interno del si trovano tipi specifici di proteine, le “tubuline”, che costituiscono, a spirale, la struttura tubolare. Ciascuna tubulina si comporta come un dipolo, potendo assumere due stati di polarizzazione elettrica. La loro disposizione nelle pareti del microtubulo può eccitare le molecole d’acqua nel nucleo cellulare. Se sono innescati molti dipoli, l’energia delle molecole d’acqua viene indotta in uno stato di elevata coerenza. Quando l’energia diminuisce, le molecole ricadono a un livello energetico minore, in modo tale da emettere fotoni coerenti dentro il microtubulo.

[10] Citato in W. Arntz, B. Chasse, M. Vicente, Ma che bip sappiamo veramente, Macro Edizioni, Cesena, 2006, p.137

[11] Citato in Teodorani, M., Entanglement. L’intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza, Macro Edizioni, Cesena, 2007, pp. 85-86

[12] Teodorani, M., I grandi numeri celesti. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, Macro Ed., Cesena, 2009

[13] Citato in Talbot, M., Tutto è uno. L’ipotesi della scienza olografica, Urra Edizioni, Milano, 1997, p. 124

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