Alcuni studi sull’influenza mentale dell’osservatore
Il ruolo dell’osservatore, nella sperimentazione quantistica, suggerisce l’idea che l’ingrediente essenziale nella creazione della realtà sia la coscienza di chi osserva, la quale sarebbe centrale nel processo di trasformazione del mondo quantico, non ancora ordinato in qualcosa di simile alla realtà quotidiana.
Heisenberg parlò in più occasioni della natura partecipativa dell’universo (uno sforzo continuo tra osservatore e osservato), suggerendo non solo che l’osservatore conferisce esistenza all’osservato, ma anche che nulla esiste nel cosmo indipendentemente dalla percezione di chi osserva.
Ciò implica che sia il coinvolgimento intenzionale della coscienza a dar forma al mondo: la realtà non è fissa ma fluida e, perciò, aperta alle influenze. Le implicazioni teoriche dell’interpretazione della fisica moderna suggeriscono che, se la materia è mutevole e la coscienza la rende un qualcosa di fisso, sembra verosimile che essa sia in grado di sospingere le cose in una particolare direzione. Se l’atto dell’attenzione influenza la fisicità degli oggetti, allora sortirà effetto anche l’atto dell’intenzione, ovvero del deliberato tentativo di produrre un cambiamento. Nel nostro partecipare al mondo quantico, potremmo essere non solo co-creatori, ma anche influenzatori.
Marylin Schlitz[1], uno dei primi scienziati impegnati nelle ricerche sull’influenza a distanza, definì l’intenzione come “la proiezione della consapevolezza, con proposito di efficacia, verso un oggetto o un esito”. A suo parere, per influenzare la materia, il pensiero dovrebbe essere intensamente motivato e diretto verso un obiettivo. Gli esperimenti con il REG, descritti in precedenza, fornirono delle prove del fatto che pensare direttamente, in maniera focalizzata, può condizionare oggetti inanimati ed esseri animati.
Numerose ricerche, contemporanee a quelle del PEAR, provarono che l’intento umano è in grado di influenzare diversi sistemi viventi. Un vasto corpo di ricerche diretto da Braud[2], dimostrò che i pensieri umani incidono sulla direzione in cui nuota un pesce, sul movimento dei gerbilli e sull’interruzione dell’attività di alcune cellule in vitro. Studiando l’attendibilità dei fenomeni di guarigione a distanza, costui ha anche dimostrato come una persona possa influire sul sistema nervoso autonomo di un’altra, utilizzando la misura dell’attività elettrotermica (EDA) per rivelare lo stato di stress dell’individuo. Braud esaminò l’effetto prodotto sull’EDA dal fatto di venire fissati, un metodo semplice per individuare l’esito dell’influenza a distanza su un essere umano; mentre erano fissate, le persone subivano una stimolazione a livello subconscio.
Tutte queste ricerche portarono alla luce che l’influenza mentale, di qualsiasi tipo, sembra produrre effetti misurabili, indipendentemente dalla distanza tra chi emette il pensiero e il ricevente, o dal momento in cui l’intento è generato. Il potere del pensiero sembra trascendere tempo e spazio, e appare inestricabilmente connesso alla materia – numerose prove dimostrano che esso è in grado di alterarla. Indagando i meccanismi fisici attraverso i quali accadono questi fenomeni, si verificò che certi stati mentali possono favorire i risultati positivi, e che un pensiero può effettivamente agire sulla salute e guarigione.
La maggior parte delle scoperte concernenti la coscienza risale a più di trent’anni fa, mentre gli studi più recenti nel campo della fisica quantistica offrono delle risposte ad alcune interrogativi, fornendo indizi e anche alcune prove che il mondo è assai duttile e aperto a una costante e sottile influenza energetica, e tutto ciò che vive è concepibile come un continuo trasmettitore e ricevitore di energia. I nuovi modelli della coscienza la descrivono come un’entità capace di oltrepassare i confini strettamente fisici: l’intenzione sembra essere simile a un diapason, il quale induce ciò con cui entra in risonanza, a vibrare alla stessa frequenza.
Nel 2001, il fisico Vladko Vedral, commentando un esperimento del collega Tom Rosenbaum, riguardante la verifica della presenza del fenomeno dell’entanglement tra gli atomi di un cristallo di olmio, suppose che il legame non-locale, fino a quel momento ipotizzato come possibile solo su scala subatomica, sia lo stato primitivo dell’esistenza[3]. Egli ritiene che, dovunque, atomi e molecole sono impegnati in un costante scambio di informazioni. Del resto, Thomas Durt, fisico olandese, dimostrò con formulazioni matematiche che quasi tutte le interazioni quantistiche producono correlazioni[4], che sembrano essere una caratteristica universale persino nell’organismo umano, poiché ogni interazione tra elettroni negli atomi del corpo dà luogo a tale interconnessione.
Se, nella fisica classica, un “Campo” è una regione di influenza in cui due o più punti sono collegati da una forza, nel mondo subatomico, i campi sono creati da scambi energetici, e rappresentano una matrice d’informazioni. Tutte le particelle materiali interagiscono tra di loro, scambiandosi energia tramite quelle che sono considerate “particelle virtuali”, le quali, combinandosi e annientandosi a vicenda in un istante, danno origine a fluttuazioni casuali di energia senza alcuna causa apparente. Le particelle virtuali non assumono una forma fisica; anche quelle “reali” sono solo nodi energetici che emergono per breve tempo e poi tornano a scomparire nel campo soggiacente.
Molte proprietà del mondo quantico possono essere spiegate tenendo conto della costante interazione delle particelle con il Campo, meccanismo alla base degli effetti non-locali tra esse. Se tutta la materia dell’universo interagisce col Punto Zero, significa che essa è interconnessa e potenzialmente correlata nell’intero cosmo attraverso onde quantistiche, e che lo spazio vuoto e noi stessi siamo una massa entangled (correlata), che stabilisce correlazioni invisibili con cose distanti.Riconoscere l’esistenza del Campo e dell’entanglement offre un meccanismo tramite cui i segnali, generati dal pensiero intenzionale, possono essere captati da soggetti posti a distanza tra loro.
A parere di McTaggart, tutti questi esperimenti sembrano indicare che le proprietà peculiari della fisica quantistica possono accadere anche nel mondo della materia visibile. Anche le molecole esisterebbero in uno stato di puro potenziale e, in determinate circostanze, esse potrebbero sottrarsi alle regole newtoniane della forza ed esibire effetti non-locali:
“Il fatto che qualcosa di grande come una molecola possa diventare parte di un entanglement suggerisce che non ci siano due diverse serie di regole, la fisica del grande e la fisica del piccolo, ma un’unica serie di regole per tutto ciò che è vita […] Questi due esperimenti suggeriscono che l’effetto osservatore si verifichi non semplicemente nel mondo della particella quantica, ma anche in quello quotidiano. Le cose non dovrebbero più essere viste come dotate di esistenza autonoma ma, al pari di una particella quantica, esistenti soltanto in reciproca relazione. La co-creazione e l’influenza potrebbero quindi essere proprietà essenziali della vita. La nostra osservazione di ogni componente del nostro mondo può aiutare a determinare il suo stato finale, suggerendo che verosimilmente influenziamo ogni cosa grande che vediamo intorno a noi […] La materia stessa sembra essere malleabile, suscettibile all’influenza proveniente dall’esterno.[5]”
Le ricerche del fisico Popp[6] sembrano indicare che meccanismo che dà vita all’intenzione potrebbe avere origine con i biofotoni, ritenuti il canale di comunicazione primario di un organismo, e il mezzo di segnalazione nei confronti di sé stesso e dell’ambiente esterno. Costui sostenne, negli anni seguenti, che fosse questa radiazione, e non la biochimica, a essere l’autentica forza trainante dei processi cellulari, offrendo un sistema di comunicazione capace di trasferire informazioni quasi istantaneamente attraverso l’organismo.
Si teorizzò che questa luce fosse simile a un diapason principale che emetteva certe frequenze, seguite poi da altre molecole del corpo. Con l’ausilio di un fotomoltiplicatore in grado di catturare la luce e di contarne i fotoni singolarmente, egli riuscì a provare che tali minuscole frequenze erano immagazzinate soprattutto nel DNA cellulare. Popp si accorse che l’intensità dell’emissione luminosa negli organismi era stabile finché essa non veniva disturbata, a quel punto la corrente cambiava bruscamente. I segnali contenevano preziose informazioni relative allo stato di salute del corpo e agli effetti di una particolare terapia. Le vittime del cancro, ad es., avevano un minor numero di fotoni, come se si stessero “spegnendo”.
Gli esperimenti di Popp dimostrarono che l’emissione biofotonica possiede proprietà simili allo stato di un condensato di Bose-Einstein[7] – un’oscillazione armonica delle particelle, le quali si comportano come un’unica entità vibrazionale, conseguente alla natura ondulatoria delle particelle. I biofotoni apparvero estremamente coerenti, come se si comportassero sulla scorta di una singola frequenza superpotente (fenomeno noto come “super-radianza”), e fu prima descritto dal biofisico tedesco Albert Fröhlich, il quale dimostrò che, con i sistemi complessi, l’energia interna crea ogni sorta di relazione sottile e, pertanto, non è discordante ma è in grado di organizzarsi in un unico stato coerente, con la forma più elevata di ordine quantico nota in natura[8].
Quando si dice che le particelle subatomiche sono “coerenti”, significa che esse si uniscono strettamente, tramite bande di comuni campi elettromagnetici, e risuonano come una molteplicità di diapason accordati sulla stessa frequenza, operando in comune, in maniera organizzata. Studi successivi, condotti da Gary Schwartz[9], tramite un apparecchio creato per rilevare le fonti luminose deboli, provarono che l’intenzione di guarigione emette onde di luce altamente organizzate.
Secondo Schwartz, la risposta all’origine della guarigione è, dunque, la seguente: se i pensieri sono generati sotto forma di frequenze, l’intenzione di guarigione è luce altamente ordinata. Gli esseri umani si comportano allo stesso tempo come ricevitori e trasmittenti di segnali quantistici, e l’intenzione diretta si manifesta sotto forma di energia elettromagnetica, producendo un flusso ordinato di fotoni. Forse le nostre intenzioni operano come frequenze a elevata coerenza, modificando la costituzione molecolare e i legami stessi della materia.
Se, all’inizio, Popp riteneva che l’emissione biofotonica fosse unicamente un mezzo di segnalazione non-locale, col tempo egli scoprì che la luce sembrava essere un sistema di comunicazione tra cose viventi. Nel corso degli esperimenti con una pulce d’acqua (dafnia)[10], si scoprì che le femmine assorbivano vicendevolmente la luce emessa restituendo schemi d’onda d’interferenza, come se ciascuna avesse preso la luce inviatale e l’avesse aggiornata con altre informazioni. Quest’attività poteva essere il meccanismo che consente alle dafnie di rimanere unite quando sciamano (una sorta di rete invisibile di comunicazione che le tiene unite).
Popp scoprì, inoltre, una curiosa reazione degli organismi a una luce puntata contro di essi: dopo un certo periodo d’esposizione, le dafnie emettevano un maggior numero di fotoni, come se rifiutassero le eccedenze, fenomeno definito “luminescenza ritardata”, ipotizzando che si trattasse di uno strumento correttivo, per mantenere il livello di luce dell’organismo in equilibrio.
A sua volta, il fisico russo Konstantin Korotkov[11] riuscì a dimostrare, utilizzando la “visualizzazione della scarica gassosa”, che persino le emozioni erano in grado di produrre un effetto sulla scarica luminosa del destinatario. Egli, nel tentativo di esplorare le conseguenze dei pensieri di un individuo sulle persone circostanti, chiese a un certo numero di coppie di soggetti, che uno dei due inviasse una serie di pensieri, legati a specifiche emozioni, al proprio partner mentre rimaneva nelle vicinanze.
Ogniqualvolta un partecipante esprimeva un sentimento negativo, il campo energetico dell’altro diminuiva (il contrario accadeva con le emozioni positive). Per Popp, questa fu la prova che gli esseri viventi interagiscono col proprio ambiente attraverso un costante flusso d’informazioni a doppio senso, che li rende in grado di registrare le variazioni del pensiero. Se quest’ultimo è, infatti, costituito da un flusso di fotoni, è plausibile che un organismo possa captarne i segnali ed esserne influenzato.
[1] Citato in McTaggart L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008
[2] Ibidem
[3] McTaggart, L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, pp. 41-42
[4] Ibidem, p. 43
[5] Ibidem, p. 51
[6] Citato in McTaggart L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, pp. 65, 230
[7] McTaggart, L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, p. 72
[8] Ibidem, p. 71
[9] Citato in McTaggart L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, pp. 53-74
[10] Ibidem, p. 84
[11] Ibidem , pp. 87-91