Il concetto di Wu Wei e Mindfulness

Wu Wei e Intento

 

Se l’energia (Qi) segue l’intento (Yi), allora il precetto Taoista Wu Wei (senza azione, vuoto d’azione, stato di non azione) prende il significato di essere uno con l’intento perché l’intento è, in realtà, uno stato di consapevolezza dell’essere, e non del fare. Lo scopo del Wu Wei è il mantenimento di un perfetto equilibrio con il Tao, e quindi con la natura. Applicando la non-azione, l’uomo è consapevole di dover fare scelte razionali nella propria vita, procedendo a piccoli passi.

Quando l’uomo coltiva le leggi del Tao, aumenta il suo stato di armonia con la natura, e, come afferma il filosofo taoista Zhuang Zi, raggiunge lo stato di Ming, o illuminazione. Anche “nel Buddismo Zen la perfetta condizione del vivere-nel-Wu-wei è vista come illuminazione (…) La percezione diretta e attenta dell’immediato scorrere degli avvenimenti viene detta: la coscienza o lo spirito senza dimora. Con questa coscienza o spirito la forza assoluta creativa è già entrata nella vita del praticante.[1]” È in questo stato che si deve applicare il Wu Wei, con lo spirito presente nel qui ed ora, agendo solo quando si deve, in modo da non sconvolgere gli equilibri del Tao. Il Qi segue la nostra coscienza/intenzione e si manifesta come risultato fenomenico. In quest’ottica, tutto ciò che è, è esistito prima come intento.

Wu Wei è la condizione dell’”azione senza interferenza attraverso il lasciare accadere.[2] In queste due sillabe è contenuto l’intero segreto dell’arte di vivere nel Tao, significa che nelle nostre decisioni dobbiamo agire in armonia con la nostra facoltà interiore, il Tao. E’ sufficiente guardare il problema senza analisi e giudizi, affidando il resto completamente al Tao. Lasciare gli eventi al loro corso senza fare alcuna resistenza, osservarli solamente, questa è la vera non-azione. Quando diventa necessario l’intervento diretto, ci deve essere un impulso spontaneo all’azione, attraverso l’intuizione. La vera intuizione è legata all’essere un tutt’uno con il Tao, è l’accesso alla consapevolezza; non è elucubrazione mentale, ma è legata all’azione. In questo stato, la vita viene vissuta in totalità.

Per vivere in tale maniera non è richiesta alcuna particolare abilità o acquisizione che non sia già da sempre a nostra disposizione, perché è uno stato dell’essere, e non del divenire (fare). Il Tao si manifesta e può essere realizzato solo nel momento presente, senza interferenza dei cinque sensi di percezione, dei pensieri divaganti, dei ricordi e aspettative, desideri o paure. Rimanere costantemente nella presenza della consapevolezza, osservare con attenzione gli avvenimenti, percepire senza analizzare, è il primo passo per realizzare il Tao.

Un’antica pratica Zen per sviluppare e allenare l’intento mentale è la meditazione sulla ciotola del cibo, chiamata anche “ingestione cosciente del cibo”. In questo esercizio, bisogna trovare una ciotola che diventerà il nostro piatto per mangiare. A ogni pasto, si riempie questa ciotola con del cibo e si mangia con attenzione e consapevolezza. Non si deve mangiare tra i pasti. Anche se appare banale, questa pratica è molto dura e, se eseguita con costanza, può cambiare l’attitudine verso il cibo e il modo come si mangia e ciò si rifletterà anche nelle altre attività quotidiane.

Il seguente racconto illustra bene il significato profondo della pratica meditativa, che è, fra l’altro, intimamente relazionata con il concetto di Wu Wei:

“A un monaco buddista avanzato nella meditazione, fu chiesto come fosse possibile, nonostante tante occupazioni, essere sempre raccolto. Egli disse: ‘Quando sto in piedi, io sto in piedi; quando cammino, io cammino; quando mangio, io mangio; quando parlo, io parlo’… ‘Questo lo facciamo anche noi’, rispose il giovane che lo interrogava. Il monaco riprese: ‘No! Quando voi siete seduti, state in piedi; quando state in piedi, voi correte già; quando correte, siete già alla meta.’”

Quando si coltiva il proprio Yi, si susseguono alcune trasformazioni, come ad esempio:

  • Si fa di meno ma si è più presente nei progetti che s’incominciano.
  • Si è in grado di dire ciò che si pensa ed esprimere se stessi con più chiarezza.
  • Si prende il tempo di ascoltare la propria voce interiore.
  • Ci si sente più concentrati in se stessi e meno squilibrati da necessità, opinioni, richieste e problemi degli altri.
  • S’incomincia a sentire un senso di stabilità.
  • Quando s’incontra un ostacolo, si rimane con chiarezza nella propria intenzione, si lavora per trovare una via per risolvere il problema e si va avanti con il progetto.
  • Si è piantati per terra.
  • S’incomincia a sentire che le proprie azioni nel mondo portano un raccolto abbondante, Il mondo diventa un terreno fertile per le proprie idee e azioni.

Mindfulness

In psicologia, mindfulness esprime, sostanzialmente, la consapevolezza di ogni pensiero, comportamento e motivazione. Il concetto moderno origina da insegnamenti tradizionali Buddisti, dello Zen giapponese e da pratiche meditative come lo Yoga (tutti affini ai principi del Tao).

Queste idee sono poi state assimilate nell’ambito psicoterapeutico. La parola “mindfulness” è la traduzione in inglese della parola “sati” in lingua Pali indiana (in cui fu compilato il Canone Buddhista della scuola Theravada), che significa “attenzione consapevole” o “attenzione nuda”. Secondo la definizione di Kabat-Zinn, mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante.[3]”

Possiamo comprendere il concetto di Mindfulness come un aspetto della pratica del Wu Wei: è  una modalità di prestare attenzione, ad ogni istante, hic et nunc, intenzionalmente, in maniera non giudicante, con lo scopo di aumentare la propria consapevolezza delle diverse esperienze: sensazioni, percezioni, emozioni, idee, gesti, rapporti etc. Essa rappresenta l’auto-esplorazione e la trasformazione; permette di provare nuovi modi di essere e conoscere, ascoltando più attentamente la propria esperienza personale, ad ogni momento. La consapevolezza è lo specchio del pensiero, riflette solo quello che sta avvenendo realmente, senza polarizzazioni.

Secondo J. Goldstein, “mindfulness è la qualità della mente che considera ciò che è senza giudizio, senza interferenza. E’ come uno specchio che riflette chiaramente ciò che avvenne precedentemente.[4]E’, quindi, l’osservazione non giudicante l’abilità mentale di osservare le cose così come sono, senza critiche o opinioni. In sostanza, essere senza giudizio significa che l’essere consapevole è il precursore del fare buoni giudizi, basati su una comprensione chiara, che alla sua volta, precedono la saggezza.

Mindfulness è anche la consapevolezza non concettuale, la capacità di “prendere coscienza e vivere in armonia con se stessi e il mondo intero. Comporta l’auto-indagine, la messa in discussione della nostra visione del mondo, della posizione che vi occupiamo, e l’apprezzamento della pienezza di ciascun momento della nostra esistenza. Soprattutto, riguarda il mantenimento del contatto con la realtà[5]”.

Richiede un’educazione mentale che insegna a fare un’esperienza del mondo completamente nuova. La riflessione sulla consapevolezza è una qualità speciale dell’essere, permette di imparare attraverso le esperienze quotidiane, per realizzare la propria visione della realtà. Dal punto di vista del Buddismo Zen, Shunryu Suzuki scrisse:

“…cercate sempre di mantenere la giusta postura, non solo quando praticate zazen (meditazione), ma in tutte le vostre attività. Prendete la giusta postura quando state guidando l’auto, e quando leggete. Se si legge in una posizione accasciata, non si può rimanere svegli a lungo. Provate. Scoprirete quanto è importante mantenere la giusta postura. Questo è il vero insegnamento. L’insegnamento che è scritto sulla carta non è il vero insegnamento. L’insegnamento scritto è come cibo per il vostro cervello. Naturalmente, è necessario prendere del cibo per il cervello, ma è più importante essere da soli e praticare il modo giusto di vivere.[6]

In pratica, la saggezza consapevole si acquisisce praticando e, allo stesso tempo, riflettendoci sopra. Alla luce di quanto sopra riportato, un intento è consapevole (mindful) sempre e solo quando l’individuo stesso che svolge l’azione, e tutti gli altri esseri, beneficiano del processo. Inoltre, l’intento di consapevolezza è quello che, più degli altri, tende a manifestarsi, perché è colmo del potere del sentimento profondo, della fermezza, determinazione e risolutezza.

Intento in differenti Tradizioni e Culture

Nelle arti mediche Cinesi, l’intento (Yi) può dirigere l’energia curativa non solo all’interno del proprio corpo, da o tra terapeuta-paziente, ma può essere ricavata anche da una fonte transpersonale. Similmente, questi principi relazionati all’intento possono essere ritrovati anche tra le più diverse tradizioni, sciamaniche e non.

Per esempio, un grande sciamano Lakota[7], chiamato Corvo Stolto, pare guarisse se stesso utilizzando il suo stesso intento, per rimuovere l’energia tossica o patogena; poi, pare che attraesse l’energia solare – un potere transpersonale – per rifornirsi di luce guaritrice del sole. Nella tradizione nativa americana, l’intento è quasi sinonimo di attenzione. Quando un altro uomo di medicina Lakota, Alce Nero, scalò Harney Peak, egli sentì gli spiriti che gli ordinavano “Sii attento!” (Wacin ksapa yo!).

Per i Nativi americani Lakota, l’intento, anche chiamato “forza di volontà” (tawacin), non è una qualità passiva, ma un potere creativo che aiuta a compiere il proprio scopo nella vita. L’attenzione è considerata necessaria per la comprensione della chiarezza mentale (waableza). Nelle arti di guarigione, dirigere il potere curativo con attenzione e cura ha un effetto diverso del meramente pensare a questo potere come una sorta di energia. L’intento può dirigere l’energia o creare una “carica” informazionale in più, dandogli significato. Quindi, l’atteggiamento, che viene dal cuore, dà forma e qualità ed è più potente della semplice energia.

Nella tradizione delle Hawaii[8], uhane significa sia il sé cosciente che la volontà, e fa parte della triplice divisione hawaiana della psiche. Il secondo elemento psichico è aumakua, che indica il sé spirituale superiore e i poteri totemici. Una persona potrebbe avere un aumakua squalo o falco. La sua consapevolezza di questi poteri è anche il suo aumakua. L’aumakua attrae mana, o energia di guarigione, dai cieli.

Ogni persona ha anche un unihipili o inconscio, che attinge mana dalla terra. Il ponte che collega il sé superiore con l’inconscio, il cielo con la terra, è l’uhane, l’io cosciente e volente. Il guaritore Kahuna utilizza l’uhane per dirigere la mana del cielo, della terra e l’io personale verso il paziente. Per essere efficace, questo potere dev’essere infuso con aloha, tradotto anche come amore.

L’antica tradizione tolteca[9] possiede una conoscenza ampia dell’intento e di altri concetti ad esso concernenti, e trova anch’esso molte analogie con l’antica filosofia del Tao. Essa considera che esista una netta distinzione tra il significato delle parole intento e intenzione, in cui l’intento rappresenta l’aspetto più importante: è la forza vitale, capace di creare l’universo, di spostare e spingere tutto nella realtà manifesta, di modificarla o riordinarla; è un atto di coscienza che coinvolge la forza di volontà inflessibile.  L’intenzione, invece, è qualcosa che ci proponiamo di fare o speriamo di realizzare (desiderio); coinvolge lo sforzo della mente razionale e il pensare, ma non necessariamente il fare.

Dal punto di vista dei Toltechi, che sapevano come invocare e impiegare l’intento, esso è la forza che tiene insieme la materia (Tonal) e lo spirito (Nagual) in perfetta armonia. Per i Toltechi, nel mondo del Tonal si parla, nel mondo del Nagual si agisce. Essi già intuivano che l’energia che porta la vita a esprimere se stessa (come nei cicli stagionali), non potrebbe manifestarsi senza l’intento. In altre parole, la vita crea la struttura concettuale dell’intento, il quale ordina la conoscenza della mente razionale. Quando si è totalmente impersonali e distaccati dai costrutti logici, quella struttura non regola più le limitazioni della vita e si è liberi dai suoi confini.

L’intento può essere descritto come l’esecutore dei comandi dell’Infinito (spirito superiore) che dirige tutta la creazione e indica come ogni cosa nell’universo manifesto dev’essere e percepire. Percepiamo il nostro modo di fare come esseri umani grazie, ad es., al codice genetico. Dal momento che questa tradizione crede che, tutti gli esseri viventi e non, sono parte integrante del cosmo, se il nostro scopo è lo stesso dell’Infinito, allora il nostro comando diventa il comando dell’Infinito. Quando ciò accade, si è in grado di allinearsi con l’intento e utilizzarlo creativamente.

Secondo questa filosofia, esprimere un desiderio proveniente dal cuore, con totale fiducia e senza pensieri contrastanti nella mente razionale, fa sì che l’intento diventi inflessibile e possa fare qualsiasi cosa accadere. E’ come vivere una risolutezza che non ha niente a che fare con la mente. Non si tratta di pensare o desiderare, ma di un sentimento profondo, così intriso di proposito e concentrazione, che si è certi che l’oggetto dell’intento sia l’unica possibilità che si possa manifestare nella propria realtà. Per allinearsi con l’intento, si deve ripulire la mente e assicurarsi che modelli e programmi mentali siano stati addestrati. A questo punto, si è allineati con la vita e la propria realtà, sia interna che esterna.

E’ nello stato d’essere, in cui si ha totale controllo sulla mente, completa fiducia nelle proprie capacità e tutto il potere personale è in nostro possesso, che si è in grado di utilizzare l’intento. La volontà interna diventa una forza personalizzata, che si può utilizzare a vari scopi. Un guerriero tolteca è considerato il creatore del proprio destino, qualcuno che si connette coscientemente con l’intento e crea la propria realtà. Un vero guerriero dovrebbe essere impeccabile con le parole e i pensieriQuando si ha abbastanza energia, da essere completamente allineati con l’intento, si è schierati anche con il potere dell’universo, il flusso collettivo alla natura delle cose e, di conseguenza, parole e pensieri cominciano a manifestarsi in tempo reale, perché c’è un legame con la forza creativa.

In questa tradizione precolombiana, si considera che l’intento sia influenzato da tre fattori: volontà, desiderio e convinzione. L’ordine di causalità nella creazione mentale, secondo i Toltechi, sarebbe: Coscienza -> Esistenza -> Desiderio -> Volontà -> Azione. La psiche consiste dalle facoltà di intelletto, emozione, volontà e desiderio.  L’azione è prima mentale, poi fisica. La convinzione è la certezza incrollabile che si possa raggiungere il risultato previsto; essa dà forza all’intento. Il desiderio, abbinato a convinzione, crea una forte intenzione. Le convinzioni circa i desideri formano le caratteristiche della volontà. Più forte è il movente, maggiore è la concentrazione.

La Volontà non agisce mai verso una direzione che la mente crede impossibile. La convinzione elimina la barriera per la volontà agire, e la forza del desiderio attira il potere. Volontà e desiderio sono in costante funzione, è la convinzione a far scatenare il loro potere per raggiungere uno scopo prefissato. L’immaginazione è la facoltà della convinzione, non si può immaginare una cosa e volerne un’altra, ma si può aiutare la volontà con la fantasia: entrambe vanno a pari passo. Un’immagine mentale è il luogo dove ci si concentra, che direziona la volontà. La volontà immaginativa è piena di potenziale di realizzazione.

 


[1] Fischer, T. Wu Wei. L’arte di vivere del Tao, Ellin Selae, Murazzano (CN), 1999,  p. 17

[2] Ibidem

[3] Kabat-Zinn, J. Dovunque tu vada ci sei già. Corbaccio, Milano, 1997, p. 63

[4] Citato in Johns, C. Becoming a reflective practitioner, Wiley-Blackwell Pub., Oxford, 2009, p.11

[5] Kabat-Zinn, J. Dovunque tu vada ci sei già. Corbaccio, Milano, 1997, p. 15

[6] Citato in Johns, C. Becoming a reflective practitioner, Wiley-Blackwell Pub., Oxford, 2009, p.3

[7] Citato in Cohen, K.S., “Mind Matters: The Role of Intent in Healing”, Journal of the International Society for the Study of Subtle Energy and Energy Medicine, 10:3, Fall 1999

[8] Idem

[9] Citato in Rosenthal, S., “Toltec wisdom. Intent versus Intention; is there a difference?, robertjrgraham.com/tag/sheri-rosenthal/

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