Sviluppare l’intento terapeutico con la visualizzazione creativa
“Secondo le leggi della fisica aeronautica, il calabrone non può volare, a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma siccome il calabrone non conosce tali leggi, continua a volare.” (Igor Sikorsky)
Secondo quanto asserisce la fisica moderna, la realtà sarebbe una rappresentazione soggettiva, che nasce da un modello olografico creato dal nostro cervello, come una simulazione virtuale da utilizzare per sopravvivere in questo piano di coscienza (fisico); noi siamo parte di una realtà che creiamo man mano che la osserviamo, mentre la mente esercita la sua influenza quotidiana sulla materia.
Grazie alla meccanica quantistica, s’inizia a capire che la coscienza non emerge dalla materia, come affermavano i Cartesiani; al contrario in Oriente si è sempre sostenuto che la Coscienza è creatrice sia della mente che della materia, e che l’essere umano è più della somma dei suoi processi biologici; è l’auto-consapevole, l’essenza chiamata “coscienza”, la quale dà vita e forma a tutta la materia. Entrambi i livelli di coscienza sono inseparabili, dentro e fuori di noi, e costituiscono ciò che siamo. In ultima analisi, a livello profondo – la dimensione precedente a quella in cui la materia acquisisce sostanza – noi siamo connessi a ogni cosa nell’universo. L’energia che lo costituisce, tenendo uniti i suoi componenti, può essere influenzata dalle nostre interazioni coscienti nella vita, poiché siamo composti della stessa sostanza.
Se l’energia segue il pensiero, dobbiamo dunque prestare attenzione, con un atto di coscienza, quando formuliamo dei concetti e manifestiamo la realtà, perché ciò a cui crediamo potrebbe dar forma e crearne la struttura. Il pensiero cosciente contiene un’informazione organizzata, la quale modula le onde elettromagnetiche che vengono trasmesse col Qi. In quest’ottica, l’intento ci porta al cuore della guarigione; esso può qualificarsi come un motore primario che non ha una causa precedente alle spalle.
In un sistema biologico, non si può sapere dove ha inizio l’azione, né si può assumere una causa dietro una causa, in una regressione infinita. L’intento sembra essere la fonte dell’azione, un esempio della saggezza spontanea della natura. Quando abbiamo l’intenzione di guarire, mobilitiamo immediatamente Qi e creiamo milioni di cambiamenti biochimici e bioelettrici. E’ da sottolineare l’importanza dell’aspetto transpersonale nell’atto terapeutico, poiché in qualsiasi metodo terapeutico utilizzato, sia esso di medicina cinese o meno, l’operatore funge solo da tramite, un facilitatore del sistema vitale altrui, stimolando le capacità innate di auto-guarigione e rigenerazione dell’organismo corpo-mente-spirito.
Un forte intento è avere la volontà e il desiderio di fare tutto ciò che serve per ottenere il risultato voluto, insieme alla convinzione che si può effettivamente ottenere quel risultato. In sostanza, l’intento è quello su cui ci si concentra, perciò implica sempre una scelta: si può scegliere dove dirigere la propria attenzione, la scelta si fonderà sulla consapevolezza. Intento è anche l’immagine solida che si tiene nel cuore – il paradigma su cui tutto ciò che si pensa o si è diventa un riflesso del paradigma stesso. Rappresenta il lato attivo della mente, una visione incrollabile tenuta saldamente in mente, che funge da interfaccia diretta tra problema e soluzione, l’indagine per estrarre le conoscenze specifiche necessarie per raggiungere la manifestazione della volontà stessa.
L’intento è anche l’obiettivo, la visione dei progetti sullo schermo della realtà quantica eterna, finché l’eternità riflette la volontà, cedendo le informazioni necessarie per conseguire lo scopo previsto. Esso può essere invocato in modo chiaro e immediato in tutti gli stati di consapevolezza. Si potrebbe dire anche che l’intento è lo strumento utilizzato per accedere alla rete d’informazioni non-locali e creare una sinapsi tra domanda e risposta, l’incrocio in cui la visione diventa manifestazione, attraverso la rielaborazione della materia/energia mediante lo strumento invisibile dell’intento stesso.
Insomma, esso rappresenta il punto di sovrapposizione della visione e la creazione, attuato mediante una domanda che suscita una risposta, in accordo con la propria visione. Infine, l’intento terapeutico può essere sviluppato, per esprimere il pieno potenziale umano, con Qi Gong, meditazione, visualizzazione, e allenare, così, la propria consapevolezza nel trattamento. L’intento consapevole è l’elemento chiave dell’atto terapeutico efficace, ma anche di qualsiasi azione in ogni ambito della vita.
Alcuni studi sulla Visualizzazione
Lo psicologo americano Lawrence LeShan[1], in uno studio sui guaritori, scoprì che, oltre ad entrare in uno stato alterato di coscienza, questi individui condividono due importanti pratiche: la visualizzazione del legame di sé stessi con la persona da guarire, e l’immaginazione dell’unione in uno stato descritto come “assoluto”. I guaritori riferirono che, durante i trattamenti, spegnevano il proprio ego. Eliminando il senso di separazione con l’altro, essi avevano l’impressione di assumere il corpo e il punto di vista del soggetto verso il quale era indirizzato il loro intento positivo.
A questo livello di unione, la loro percezione si alterava, le loro facoltà motorie diminuivano; pervasi da un senso espanso del puro istante presente, essi divenivano inconsapevoli dello scorrere del tempo e perdevano la coscienza dei propri confini fisici, arrivando a esperimentare un’alterazione dell’immagine corporea (sensazione di essere più alti, leggeri o al di fuori del proprio corpo). Da quanto emerso, sembrava quasi che i guaritori diventassero una sola cosa con la persona trattata, empatizzando profondamente con la sua storia fisica ed emozionale. La loro identità e storia personale si ritiravano ed essi entravano in uno spazio di coscienza congiunta. Per LeShan, l’atto più importante consisteva in un azione cosciente di farsi da parte, di lasciar cadere l’ego individuale, per immedesimarsi nella persona sofferente.
Il medico Andrew Newberg[2], a tal proposito, condusse una ricerca sui monaci tibetani in cui tentò di indagare come, durante una meditazione profonda, di natura transpersonale, il confine della relazione tra sé e gli altri si fa indistinto e un individuo non capisce più, dove inizia e finisce l’altro.
L’ipotesi di partenza era che particolari aree del cervello e connessioni neurali collegate all’orientamento spaziale potessero essere influenzate, mediante tecniche specifiche. Dallo studio, emerse che la meditazione e gli stati alterati di coscienza influenzano non solo i lobi parietali, ma anche quelli temporali che ospitano l’amigdala, un gruppo di cellule responsabile del senso dell’io e della risposta emotiva al mondo. L’azione in questa zona cerebrale potrebbe, dunque, produrre un senso di familiarità o estraneità con l’ambiente circostante.
Un’intensa focalizzazione dell’intenzione, diretta verso un altro essere vivente, sembra “spegnere” l’amigdala ed eliminare, in tal modo, il senso “neurale” del sé. Divenne evidente che una focalizzazione intensa può essere un portale verso uno spazio transpersonale, e un picco di consapevolezza in grado di trasportare chi esercita l’intento a un diverso livello di realtà. Appare erronea l’idea per cui l’intenzione è equiparabile a un impulso mentale, tramite il quale proiettare i pensieri verso un’altra persona per assicurare il raggiungimento dello scopo prefissato (nel caso, la guarigione). Da quanto esposto sui guaritori suddetti, infatti, sembra che l’intenzione richieda una focalizzazione iniziale, seguita da una sorta di abbandono, un lasciare andare tanto il sé quanto il risultato. La coscienza potrebbe essere vista come la manifestazione d’informazione e nelle sue capacità creative e costruttive essa sarebbe compatibile, come serbatoio, con i processi che sostengono e ripristinano la salute.
Visualizzazione, creatività, intuizione sono attributi identificati nel lobo frontale del cervello (la corteccia pre-frontale è una regione cerebrale specializzata, associata a pensiero, pianificazione e decisionalità, e pare sia anche la sede dei meccanismi di auto-coscienza). Le idee prominenti nei propri pensieri apparirebbero come immagini nel campo energetico. Se quest’ultimo è la mappa che guida e foggia il corpo fisico, sarebbe possibile, con l’immaginazione e il rafforzamento ripetuto mentale, programmare un effetto nell’organismo. Questa connessione dinamica fra le immagini mentali, il campo d’energia e il corpo materiale potrebbe essere una delle ragioni per cui l’immaginazione e la visualizzazione hanno un ruolo terapeutico. La focalizzazione e l’intenzione costanti potrebbero far sì che tali immagini s’imprimano nel campo energetico, così profondamente che la ripetizione di queste configurazioni farebbe in modo che esse prendano forma fisica.
L’efficacia delle tecniche terapeutiche che utilizzano la visualizzazione creativa, guidata dall’intento consapevole, possono essere spiegate se accettiamo l’ipotesi di un universo olografico: in quel dominio le immagini sono reali quanto la “realtà”, le menti individuali sono porzioni indivisibili di un ologramma e tutto è infinitamente connesso. Forse siamo tutti d’accordo su cosa esista o no, semplicemente perché ciò che consideriamo “realtà consensuale” è stato formulato ed accettato ad un livello della coscienza umana, nel quale tutte le menti sono totalmente collegate tra loro.
Se ciò risultasse vero, sarebbe la più importante di tutte le conseguenze connesse al paradigma olografico, poiché implicherebbe il fatto che esperienze non ordinarie non sono comuni, solo perché non abbiamo impostato le nostre menti con le convinzioni atte a renderle tali. In un universo olografico, non vi sono limiti all’entità dei cambiamenti che possiamo apportare alla nostra realtà, in quanto ciò che percepiamo come tale è una tela in attesa di essere dipinta. Lo stesso scienziato David Bohm invitava a usare l’introspezione quale strumento di pensiero per comprendere la realtà, metodo del resto già indicato dall’antico sapere orientale.
[1] Citato inMcTaggart L., La scienza dell’intenzione, Macro Edizioni, Cesena, 2008, pp. 132-134
[2] Ibidem, pp. 139-140